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Atletica Mondiali. Marcell, Larissa e gli altri tra presunte delusioni e attese tradite. Ma è solo il tran tran dei soliti commentatori

di Claudio Strati

 «Delusione Jacobs, Iapichino “solo” quinta». Questi i titoli principali dei tg e di varie testate dopo la seconda giornata dei mondiali di Budapest. Secondo un copione trito e ritrito, i commentatori che ci angustiano hanno, per la maggior parte, imboccato la solita strada: Jacobs deve sempre vincere l’oro, e ora Larissa idem visto che di recente ha fatto faville.

Un assioma che i telecronisti calciofili ci rifilano sempre quando la grande atletica si riaffaccia alle loro coscienze pallonare. Sapendone poco, riescono sì e no a dare quel poco. La delusione e le attese tradite. Ma non hanno capito invece che per Marcell Jacobs è stato un ritorno bomba, e che la giovane figlia della May non è (ancora) una macchina, né lo sarà mai (speriamo).

Marcell, serenità che dà fiducia

A lui, olimpionico e campione del mondo indoor, certi giudizi ormai scivolano via come la pioggia sull’impermeabile: ci ha fatto il callo e bello sereno Marcell sciorina le sue limpide teorie, il che ci dà fiducia. In sostanza gliene frega assai poco di certe sciocchezze, solo lui sa il percorso che ha fatto in lunghi periodi di preparazione senza gare, gli infortuni, gli intoppi, i fastidi che ha superato. Ha voluto metterci la faccia, a Budapest, perché non ha paura di venire sconfitto, perché la sua vita è la corsa, il suo desiderio fin da bambino, il sogno è tornare a mettere la spalla davanti agli altri. E ci è andato vicino, diciamo, perché dopo uno choccante 10”15 in batteria dei 100, in semifinale ha fatto già 10”05 rimanendo fuori dalla finale di pochissimo, ma soprattutto facendo rivedere a tratti la sua magnifica e unica cavalcata. Finale che non ha agganciato, per dire, neanche il campione uscente Kerley… I commentatori hanno dimenticato che in finale due hanno fatto più di 10”05, e che lui è fragile, fragilissimo (eppure lo sanno), ha bisogno solo di stare bene e gareggiare, ovvero nuotare in quel mondo della velocità che è il suo liquido vitale. L’unica differenza è che a livello di commentatori, stavolta, per fortuna qualcuno ha dimostrato di capire l’uomo, il campione, il talento, che va lasciato in pace con i suoi percorsi. Non per nulla ci ha dato due medaglie olimpiche.

Larissa ha tantissimo tempo

A lei invece evidentemente le pressioni pesano. La finale di Budapest lo ha dimostrato. Signori, è atterrata a 6,82, misurona da urlo, e chi la fa in Italia? Però, anche se mancava Mihambo, alle prese anche lei con un periodo di involuzione, in attesa di tornare grandissima, ha trovato la divina Spanovic, maritata Vuleta, planata a 7,14. Misure che fece ripetutamente nel 2017 nel suo stadio di Belgrado, dove le migliaia di presenti erano appese ai suoi gesti: mani su e tutti a urlare alla regina, mani giù e tutti in religioso silenzio. E poi Larissa ha trovato l’istriona americana Davis-Woodhall, e la rumena-tedesca Rotaru che imbrocca il meritato salto di una vita fatta di sport ed esperienza. E c'era pure la signora Brume, nigeriana, a Tokyo "solo" bronzo.  Ma poi lo sapevano che erano rimaste fuori dalla finale pure delle combattenti come la Bekh, la Sawyers, la Burks? Sì, lo sapevano, ma per loro Larissa è comunque “solo” quinta. Deve sempre fare da 6.90 in su, sennò delude. La gara ha detto che la ragazza era sotto pressione. Il primo salto sbilanciato, le lacrime finali, le colpe prese tutte su di sé (ma quali colpe?). Il fatto è che è giovanissima e se non finiamo di caricarla di attese e responsabilità non le facciamo un bel servizio. Fa parte dei fenomeni per cui saprà fare cose fenomenali, come quelle già viste. Ha tempo, tantissimo tempo.

Antonella, monumento stellare

Il problema è che non si è capito, pare, che al team Italia è cambiata la musica. La stagione degli zero tituli è alle spalle, da qualche anno, ma loro ragionano come se ancora fosse qui. Per fortuna fioriscono i Leo Fabbri d’argento, ormai al record italiano del peso, e rifioriscono stelle come Antonella Palmisano, quella che negli anni senza allori salvava il carrozzone con la sua medaglia. Dopo due anni bui fatti di alti e bassi, come ha detto lei stessa, con problemi fisici e operazioni chirurgiche, rieccola “bella e impossibile” al bronzo della marcia. Lei tornava dopo due anni di buio, nessuno che avesse gridato allo scandalo di un ipotetico “errore tecnico” (come fu con Marcell) dopo l’oro olimpico. Ha dovuto recuperare, l’abbiamo attesa e ci ha regalato una emozione siderale. Nel fattempo spuntano i Sibilio, a un nulla dalla finale dei 400 hs, la divina veneta di Verona, Elisa Molinarolo eroica nell’asta a 4,65, l’afro bergamasco americano Ihemeje in finale nel triplo (lo fu anche un anno fa, con Dallavalle quarto), l’incredibile ragazzina Ludovica Cavalli, 22 anni, con Pb e finale conquistata nei 1500 con un’autorità e una sagacia senza pari, e altri talenti e talentini che fanno bene.

Ampliamo la platea

Una sterzata è stata data, ora bisognerebbe ampliare la platea delle risorse ai talenti emergenti nelle quasi tremila società civili che non passano nello stretto imbuto della situazione attuale e restano speranze inespresse. Intanto i giornalisti delusi e traditi continueranno a resistere: sono formati così, destinati a declamare, come si lesse, “azzurri in un girone durissimo con la Macedonia del Nord e poi Portogallo o Turchia”, mentre quando finiscono nel laghetto dell’atletica annaspano parlando di delusioni e attese tradite. Sentita qualche settimana fa in un tg de La 7, che poi non è neanche male come rete: «E ora veniamo allo sport. Non essendoci news di calcio giocato, non ci resta che parlare del calciomercato». In quei giorni erano in corso mondiali di nuoto e Wimbledon, tanto per gradire, ma fa niente.

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