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Jacobs e lo stato di grazia infranto. Ma la sua lezione rimane, e promette di tornare

Jacobs e lo stato di grazia infranto. Ma la sua lezione rimane, e promette di tornare

di Claudio Strati

Stati di grazia. Fisici, mentali, relazionali, autostimanti. Consentono di fare il massimo, di dare il top. Con quelli, vai forte. Soprattutto nell'atletica dove sei da solo, devi stare bene anzi benissimo per fare il meglio, sotto tutti i profili. Perché sei sempre al massimo, quando competi ad altissimi livelli devi sfiorare e migliorare il tuo limite, ma il tuo corpo e la tua mente devono seguirti, altrimenti non ce la fai ad arrivare alle alte vette delle prestazioni.

Il caso Marcell Jacobs lo dimostra. Si chiedevano chi fosse costui,

alcuni poco informati britannici del mondo athletics, quando sbancò Tokyo. Altri tentarono di infangargli il profilo, ma non c'erano appigli per farlo, perché era tutto normale e non c'era nessun altarino da scoprire.

Il "signor qualcuno"

Invece Marcell non era assolutamente un signor nessuno. Anzi. Aveva vinto pochi mesi prima il titolo europeo nei 60 piani a Torun, Polonia: 6"47, nuovo record italiano. E poi avrebbe vinto i 100 metri olimpici a Tokyo, in 9"80, signori. E poi ancora avrebbe vinto la staffetta 4x100 olimpica, diciamo con grande merito suo perché la magia del genio italico aveva sfruttato perfettamente gli spazi dei cambi, facendogli percorrere in seconda frazione 120 metri e forse più, mettendo nel motore del team azzurro il classico tigre.

Ma poi, pochi mesi dopo ancora, eccolo anche vincere il titolo mondiale indoor sui 60 piani a Belgrado, Serbia, in 6"51.

L'orgoglio Usa e quello inglese

Si capisce che gli americani mordevano il freno, dopo anni di passione nei quali avevano perso la leadership della velocità, buttando sciaguratamente alle ortiche anche staffette finaliste insieme al testimone, subendo le risorse giamaicane tra uomini e donne, eccetera eccetera.

Adesso l'orgoglio Usa torna ad alti livelli con la tripletta fatta ad Eugene, Oregon, nei 100 piani: oro, argento e bronzo. Quello inglese ne esce mortificato: neanche un atleta in finale. Mentre i giamaicani si sono divertiti, su qualche testata, a titolare che Seville aveva "distrutto" Jacobs in batteria.

Esultanze e numeri

Ma certe esultanze vanno anche un attimo ridimensionate. Onore agli Usa per il triplete, diremmo storico, e onore in particolare allo stato di grazia del super Fred Kerley. Che però, dopo aver quest'anno segnato il miglior crono mondiale in 9"76, in finale se l'è vista quasi brutta prevalendo sul traguardo di appena un paio di centesimi, e segnando un 9"86 assai lontano anche dal 9"79 siglato in batteria 24 ore prima. Dietro, come cani famelici, Bromell e Coleman, entrambi in 9"88. Da ricordare che in semifinale Kerley era transitato in un diciamo pure normalissimo (per lui) 10"02 (quasi quanto il 10"04 del Marcell Jacobs visto un po' malconcio in batteria), confermando un grafico di alti e bassi nei tempi. Con vento in finale -0,1, nel tempio americano dell'atletica, casa loro per antonomasia.

La progressione da sballo

Vale la pena ricordare che Marcell Jacobs, ad Olimpia, aveva impresso una progressione da sballo: 9"94 in batteria, 9"84 in semifinale, 9"80 in finale. Sintesi di una programmazione e di una tabella mentale e fattuale, con lo zampino di quell'eccellenza che è il coach Paolo Camossi, da manuale. E a Tokyo Kerley aveva preso l'argento in 9"84, mentre oggi è campione mondiale in 9"86. Se i numeri vogliono dire qualcosa. Da parte sua, il "distruttore" di Jacobs, Seville, è quarto in 9"97, lui che ha un pb di 9"86. Belli veloci, ma nessuno ha fatto i miracoli...

Marcell senza stato di grazia

Quindi tutti calmi, di certo tutti bravi, ma devono ringraziare il cielo che lo stato di grazia non fosse la condizione di questi mesi di Marcell Jacobs. Altrimenti avrebbe sicuramente detto la sua, con quella accelerazione fantascientifca che sul lanciato sa sfoderare. I problemi fisici, forse un tot di concentrazione mancata dopo i fasti olimpici, lo hanno frenato: lui è una macchina complessa, che solo il suo allenatore ha capito appieno, e deve essere perfetta per funzionare. Nonostante ciò, con il suo atteggiamento solare ha di nuovo dimostrato di saper affrontare la sfida, con ottimismo, anche se dentro di sé sapeva che c'erano dei dettagli forieri di problematiche da non poco.

Il precedente del 2015

Gli era già capitato di fermarsi di colpo, nel 2015, quando era pronto per gli Europei di Praga al coperto, forte di oltre 8 metri nel lungo. I vertici federali allora pretesero una conferma (pazzesco!) del risultato a ridosso dell'evento continentale, lui obbedì, andò a saltare a Padova e si fece male. Da lì probabilmente le intelligenze sue e di Camossi iniziarono a capire che la strada era un'altra, che un forte ma fragile come lui non poteva proseguire con i traumi da salto, e che andava sfruttata la sua velocità di base. Elevata poi al top. L'infortunio muscolare riacutizzatosi a Eugene segna un altro stop per Marcell Jacobs, italiano di Desenzano del Garda con ascendenti texani. Stop doloroso, epocale, ma obbligatorio per non creare ulteriori danni fisici. Ma da lì si può, e si deve, ripartire e ricostruire un percorso che gli si addice, coltivando spensierato i suoi sogni di bambino come ripete sempre con lo sguardo felice.

Foto: Jacobs davanti ad Hayward Fields, tempio dell'atletica Usa e mondiale

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