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Il ritorno di Galvan, 4 anni dopo di nuovo il numero 1

Galvan a Torino: 46"40

di Claudio Strati

Quando un talento si ritrova bisogna festeggiare. Anche perché di veri veri ce ne sono pochi.

E’ il caso di Matteo Galvan, riemerso dopo ben quattro anni come quattrocentista di vaglia, quando molti si erano scordati di lui.

La storia di Matteo, 25 anni, è abbastanza esemplare. Il mondo dei media pende dalle labbra dei guru, innamorato del copia e incolla, e esalta i fenomeni del momento, anche se destinati a sparire come fuochi fatui: spesso si inabissano nei buchi carsici dell’informazione e chi li aveva decantati stende il velo pietoso di prammatica, e avanti col prossimo. Di tutto il resto poco si interessa.

E’ successo anche con Matteo. A parte l’interesse a livello locale, del ritorno del “ragazzo prodigio” che era sbucato dal nulla come un alieno e aveva stampato sui visori dei cronometraggi elettronici tempi da favola,  poco si è letto. Ha corso di recente i 400 metri in 46”40, prima prestazione dell’anno nelle graduatorie nazionali, al memorial Nebiolo di Torino. Distratte recensioni si sono focalizzate soprattutto sulla poco probante prestazione del cubano Robles sugli ostacoli. Capirai. Galvan, quando citato, elencato tra i vincitori di giornata.

Però, perbacco, 46 secondi e 40 non sono niente male. Quattro anni dopo il 45”86 di Berlino ai mondiali, il suo personal best. In atletica quattro anni senza la “tua” gara sono un’eternità, soprattutto per l’atleta, stretto tra vicissitudini sanitarie (vedi tendini e dintorni), interventi medici e la rincorsa di una forma che non c’è. C’è tanto tempo per pensare: “Ma io sono ancora io o no?”. Poi si innestano i meccanismi collaterali, la voglia di cambiare, le incomprensioni. Matteo si è differenziato dal suo allenatore Umberto Pegoraro, che a Vicenza e dintorni veneti è un po’ il fulcro di una “capitale” della velocità. Ha scelto la via americana, la scuola di Loren Seagrave, cercando di ritrovarsi sotto arie nuove e metodi nuovi. Cose che ci stanno, scelte che un atleta fa consapevole del buono e del meno buono che gli può capitare. Una scommessa.

Anche se ora che è tornato, con i programmi che gli arrivano dagli States, l’ambiente vicentino comunque lo ha accolto con disponibilità. Se serve una mano, Pegoraro & C. ci sono.

Ma al di là dei metodi di preparazione, che qui non ci interessano, importa la storia di Galvan. Giovane calciatore come tanti, il ragazzo di Bolzano Vicentino viene scoperto da Mario Guerra, un pensionato con la passione per l’atletica e con l’occhio giustamente allenato sul giovanile. In atletica lo scouting è così, spartano e casalingo, altro che osservatori pagati dollaroni spediti negli stadi di calcio a scoprire i nuovi Messi che possono creare grandi business. Guerra vede Galvan sprintare a una gara studentesca, lo avvicina e gli dice: “Guarda che hai delle possibilità in atletica. Perché non provi?”.

Detto, fatto. In breve Matteo, con la maglia orange di Atletica Vicentina, inizia a lasciare il segno. Entusiasma soprattutto sui 200: parte come per la maratona, però dalla curva in poi è esaltante il suo lanciato che recupera tutti e lo porta irrimediabilmente primo al traguardo, almeno nelle gare italiane. Talento cristallino, istintivo, e in pochi mesi, siamo nel 2005, diciassettenne, è già catapultato ai mondiali Allievi di Marrakech, dove conquista il bronzo in 21”14. Una cosa stratosferica per un ragazzo italiano, accalappiato presto dal team della Fiamme Gialle.

Da lì in poi è un crescendo. La finale ai mondiali Juniores di Pechino nel 2006, quella agli Europei di categoria di Hengelo, quindi il salto che conta nei 400: sesto agli Euroindoor di Torino 2009 nella gara individuale, oro nella 4x400. Campione europeo! E’ un anno magico, con l’argento agli Eurojunior di Kaunas sui 200 con il PB in 20”62, l’argento dei Giochi del Mediterraneo e l’approdo ai mondiali di Berlino, dove la ciliegina è la batteria con il PB a 45”86, anche se la semifinale poi lo vede preda della stanchezza. In complesso, nella sua carriera 2005-2011, c’è un dato che lo contraddistingue: è uno dei rari, pochissimi italiani ad aver vinto un titolo tricolore assoluto nelle tre distanze della velocità, 100, 200 e 400.

Dopo il 2009 (a parte il titolo italiano nei 100 nel 2011 a Torino) cala il sipario sui 400, per quattro lunghi e sofferti anni. Il rientro a calcare le piste italiane in una domenica di metà maggio scorso, a Gavardo. C’è Galvan che si aggira tra atleti e pubblico della cittadina bresciana, si nota un po’ di timidezza, poche parole. Forse è anche un po’ isolato da un mondo abbastanza freddo, che vede tornare un marziano e non sa che dirgli. I duecento metri, la prima passione, corsi a fine giornata sono un test già abbastanza probante. Manenti è uno specialista della distanza, Galvan gli sta dietro e piomba sul traguardo con un passo affaticato, la testa che ciondola un pochino come sempre quando è nello sforzo finale. Il 21”15 non è straordinario però, lo capisce anche un neofita, non è nemmeno una cosa pessima per uno che sta riprendendo dimestichezza.

Quindi Torino (ancora Torino!), e il 46”40 nel “giro della morte” che restituisce speranza e rende giustizia al talento che è sempre lì. Ritorna anche la maglia azzurra, com’era ovvio, ai Giochi del Mediterraneo. Ora servono coraggio, molta testa e un pizzico di fortuna, che non guasta mai. Ma è anche ora che la sfiga la smetta di rompere le scatole.

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Aggiornamento 29 giugno 2013

Il 45"59 a Mersin, per l'oro dei Giochi del Mediterraneo, tra le prime 10 prestazioni italiane di sempre, è la conferma che avevamo visto giusto. Si intravvedono anche le porta del Mondiale di Mosca. Per Galvan l'imperativo è proseguire con caparbietà...

(foto Colombo/Fidal da fidal.it)

 

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