Pattinaggio ghiaccio, Enrico ora alleva talenti: 'Ripetere Torino 2006? Un bell'atleta possiamo trovarlo'

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Pattinaggio ghiaccio, Enrico ora alleva talenti: 'Ripetere Torino 2006? Un bell'atleta possiamo trovarlo'

di Claudio Strati

Un olimpionico “prestato” a tempo pieno alla nazionale e ai suoi gioiellini. La bandiera roanese del pattinaggio su ghiaccio resta in alto e a portarla è sempre Enrico Fabris, come lo chiamavano i suoi fan, l’Eurostar dei Toccoli.

Il poliziotto, star per anni del pattinaggio di velocità italiano, medagliato olimpico a Torino 2006, non ha per nulla appeso i pattini al chiodo. Ovvero sì, come atleta, ma ora è impegnato full time come aiuto allenatore della nazionale. «E’ più via da casa adesso di quando pattinava e si allenava in giro per l’Europa per gareggiare - spiega papà Valerio Fabris, da sempre “coltivatore” di talenti sui pattini e promotore della disciplina alla Sportivi Ghiaccio Roana. E’ sempre nella polizia, ma distaccato per l’incarico. Spesso in Germania, dove ci sono gli impianti più importanti, da Berlino a Erfurth, a Inzell in Baviera».

Intanto il gruppo di Roana prosegue la sua opera di proselitismo e crescita tra ragazzi e ragazzini, che sono portati naturalmente a provare e praticare lo sport “di casa”.
Gli atleti di punta adesso sono Nicola Tumolero, Fiamme Oro da due anni, nei giorni scorsi in Germania in vista delle gare di coppa del mondo, e il collega di squadra Luca Stefani, un esperto che già gareggio con Fabris a livelli mondiali. Il fratello Andrea Stefani è tesserato per la Sportivi, fa parte delle selezioni giovanili azzurre. E dietro decine di giovanissimi e giovani che scalpitano, pattinando verso un sogno.

Ma tornando a Enrico, ecco le sue medaglie olimpiche appese in bella vista nella banca di Roana, «non volevo farle restare al buio», parlano più di qualsiasi altra cosa. E quel bronzo olimpico a Torino 2006 che è quasi più importante dei due ori successivi, perché è stato il podio che lo ha sbloccato, il primo olimpico italiano nel pattinaggio di velocità. Dieci anni dopo Enrico Fabris ha rivisto, spiegando ricordi e sensazioni a Giulia Zonca de La Stampa, il film della sua Olimpiade, quella che fece sbocciare l’amore per il pattinaggio su ghiaccio negli italiani.

Alcuni mesi fa, in una lunga intervista (che non a caso lui riporta nella sua pagina facebook) al quotidiano torinese, Fabris ha ripercorso i giorni memorabili del 2006. Passati dieci anni, «ma non mi pare sia passato tanto tempo, sarà che le ripasso spesso quelle gare» ha detto Enrico, aggiungendo che l’immagine simbolo per lui è «il podio dei 5000 metri, un bronzo contro i due ori che sono arrivati dopo, lo so, ma è una medaglia simbolo: la prima olimpica per l’Italia nello speed skating e anche quella che mi ha liberato». Il pubblico ha scoperto il suo sport in quei giorni, osserva la giornalista. «Da zero a 100, era quasi assurdo. Un delirio, pareva esagerato e poi è sparito tutto. Subito ci sono rimasto male».

Un evento irripetibile, l’Italietta che si faceva grande: «Il bello è che siamo stati davanti al mondo con due piste artificiali, una naturale, pochi mezzi e un movimento minimo. Nulla è cambiato dopo il 2006, quindi possiamo rifarlo. Ora sono nel gruppo tecnico della nazionale, sta a noi ricostruire le condizioni per un altro exploit. Ci stiamo provando». Ma c’è un altro Fabris? «Spero che ci sia qualcuno capace di fare un altro pezzo di strada. Diverso da me, uno che magari vinca pure di più. Io per esempio non ho un oro mondiale...».
Poi il ricordo del ritorno a Roana: «La festa più bella è quella che mi hanno organizzato a casa. Vivo in una frazione di 700 abitanti e ci saranno state 5000 persone. Non so da dove uscivano ma era straordinario che volessero esserci».

E quelle Olimpiadi le hanno cambiato la vita? «Mi hanno cambiato la carriera, la vita no. Sono uno sportivo stra realizzato ma sono rimasto lo stesso».
Dispiaciuto che l’Oval di Torino sia stato smantellato?  «Era perfetto, sarebbe stato la sede ideale per la nazionale. Pensa allenarsi lì... Ci ho sperato, ma è normale che sia andata così. Non si può pretendere che le grandi masse si buttino sulla pista lunga».

Queste le risposte a La Stampa. Sull’Oval si era sognato, si disse che sarebbe rimasto per il pattinaggio. Ma un’idea impossibile per una specialità sportiva così minoritaria. I pochi italiani votati alle gare mondiali allora continuano a solcare l’Europa e i suoi impiantiper diventare forti ed emulare Enrico.Ma un seme così forte ha permesso la nascita del Palaghiaccio di Roana. Non è l’Oval, ma è un preziosissimo fulcro di attività che prima non c’era. L’Eurostar quella volta ha lasciato un segno forte.