Il talento non basta, serve il lavoro. La ridicola normativa sui prof che esclude le donne

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Il talento non basta, serve il lavoro. La ridicola normativa sui prof che esclude le donne

di Raffaella Toniolo*

La parola talento richiama una moneta usata nell’antichità per gli scambi commerciali e ancora prima una bilancia

o meglio l’inclinazione del braccio della bilancia che pesava la merce.
Parole diverse per indicare un unico aspetto: inclinazione, vocazione, chiamata, daimon, genio. Nelle popolazioni con rituali sciamanici ci si rifà anche ai termini spirito, anima-animale, anima-libera. Parole, miti, rituali che non ci dicono cosa sia questo “qualcosa” ma che ci confermano che esiste.

Secondo la scienza il costrutto del talento viene definito come quell’insieme di caratteristiche individuali che accelerano l’acquisizione di competenze in una determinata sfera di attività. Cosa significa nel concreto? Ad esempio se ho talento sportivo, il mio corpo imparerà e memorizzerà molto più facilmente e velocemente di altri tecniche e movimenti specifici di una determinata disciplina, se ho talento musicale imparerò più facilmente a riconoscere e riprodurre determinati suoni con degli strumenti o con la voce e così via.

Il talento è una nostra dote innata ma questa da sola non è sufficiente al suo sviluppo. Il talento, perchè porti a livelli di eccellenza, deve essere necessariamente legato a studio di qualità e pratica. Una ricerca della Cambridge University sostiene che le prestazioni da record dipendono per l’1% dal talento, per il 29% da una formazione di qualità e per il restante 70% dalla pratica.

Doug Beal, allenatore del Team Usa dominatore nel volley degli anni 80, diceva: “Alcuni di questi atleti sono diventati campioni nonostante il loro talento. Sì, perchè se puntiamo solo alle doti naturali siamo destinati a fallire. Il talento è un dono su cui non possiamo fare nulla se non lucidare quel regalo con impegno e sacrificio”. Indipendentemente dalle percentuali, ricercatori e tecnici concordano ormai all’unanimità sul fatto che il talento è un insieme di geni e pratica, ma soprattutto pratica, e ottimi maestri che sostengano e incoraggino durante il percorso e che talenti non espressi è come non averli.

E i talenti appartengono a uomini e donne indipendentemente dal sesso. Spesso, tuttavia, siamo ancora portati a credere che i maschi e le femmine abbiano attitudini differenti e così agiamo, almeno a livello inconscio, in modo da stimolare e predire inclinazioni e talenti a seconda del sesso. In media abbiamo poche aspettative nei confronti delle bambine in materie scientifiche come matematica o ingegneria perché considerate “da maschi” e le ragazze che fanno propria questa convinzione riscontrano effettivamente più difficoltà in queste stesse discipline. In realtà però non ci sono particolari differenze rispetto a potenzialità e predisposizioni di maschi e femmine nell’età scolastica e spesso la discriminante maggiore sta nella diversa impostazione educativa.

I condizionamenti si rafforzano man mano che cresciamo escludendo così da quei settori la componente e le competenze femminili. Discriminanti che contagiano e si espandono in diversi ambiti, compreso mercato del lavoro, retribuzioni salariali, futuro professionale e, in quest’ottica, anche il mondo sportivo non ne è escluso. Ad esempio le atlete italiane che oggi fanno dello sport il loro lavoro e la loro fonte di reddito restano tutte dilettanti, perché nessuna federazione permette loro di accedere all’attività professionistica.

In Italia sono solo sei le discipline considerate professionistiche per la legge: calcio, golf, pallacanestro, boxe, motociclismo e ciclismo e solo per gli uomini. Luisa Rizzitelli, ex pallavolista impegnata da anni a portare avanti la battaglia per l’inclusione delle donne nello sport professionistico dice: «Non è solo una questione di titoli, che rende ridicolo definire “dilettanti” sportive come Federica Pellegrini, Francesca Schiavone, Carolina Kostner, Flavia Pennetta o Tania Cagnotto, ma anche di tutele: essere professioniste significa poter accedere alle garanzie previdenziali, sanitarie, contrattuali previste per i lavoratori del settore».

*coaching e psicologia dello sport e del lavoro
www.raffaellatoniolo.it